Ta Yung o riot

21 mag 2012 11:03 pm

Ta Yung o riot?

Tralasciando gli applausi a Monti in una università che produce quadri, quindi funzione del capitale, per dirla con Marx, il dato secondo me più indicativo è la caduta delle mobilitazioni ‘di massa’ da quando si è verificato il passaggio dal governo del grande pupazzo a quello del ‘grande tecnico’.

Il senso di questa caduta sta in quello che già da decenni alcuni compagni vanno segnalando, e cioè il fatto che nel parlamento, comunque conformato, domina e dirige un personale politico trasversale che svolge il ruolo di cinghia di trasmissione degli ordini che giungono dagli organismi sovranazionali, si tratti di Unione Europea o FMI e Banca Mondiale.

Ma non solo, e non soprattutto. Se è vero che buon gioco hanno avuto le manovre finalizzate alle faide interne della borghesia, nel momento di eliminare un governo che rappresentava interessi troppo particolaristici, dipingendo l’ennesimo babau causa di tutti i mali, d’altra parte nello stato italiano, a partire dagli anni ’80, vediamo una classe proletaria accettare, subire, peggio, partecipare anche se non sempre, al proprio macello. La ristrutturazione dei tempi craxiani, con perdita di migliaia di posti di lavoro e di importanti livelli salariali, seguiti dalla perdita della scala mobile, eccetera, eccetera, sono certo ascrivibili ai duri colpi inferti, sia a livello economico ed occupazionale, sia su quello puramente repressivo, dagli apparati borghesi, ma fondamentale è stato il ruolo delle forze variamente riformiste, revisioniste, concertazioniste e chiudo qui l’elenco delle ‘iste’ perché se, come recita il detto popolare ‘la madre degli scemi è sempre incinta’, aggiornandoci, possiamo affermare che la fabbrica dei venduti non conosce crisi.

Purtroppo è patrimonio storico di questo paese, dopo dure lotte, con il corollario di patimenti, sofferenze, repressioni che comportano, incoronare i kapò, fare arrivare chi ti vende a posti di potere, accettando e facendo tuoi gli appelli ai sacrifici, al farsi stato, al piegarsi agli interessi della ‘nazione’. Ed in sintonia con il dettato di circa trent’anni di comunicazione mediatica, creare in ogni casa un altarino al dio individuo, unico soggetto degno di interesse e di cura a costo di tutto e tutti. Dopo la guerra di resistenza a fascismo ed invasione nazista (ma per molti non era solo quello), non necessariamente tutti accettarono l’ordine del PCI, più ancora che del CLN, di deporre strumenti e propositi in ragione di un progetto ‘di unità nazionale’. Idem dopo attentato contro Togliatti, o dopo 30 giugno e massacri dei giorni seguenti. E poi la piattaforma dell’EUR, il ‘compromesso storico’…

In definitiva a mio avviso, lo stato delle lotte, ma non solo, lo stato della classe proletaria in generale, nello stato italiano, è frutto di una storia che ha visto il soggetto politico più consistente, di volta in volta, farsi anch’esso funzione del capitale, quadro politico al servizio dell’esecutivo borghese. Vero è che un matrimonio si celebra fra due soggetti, il fatto è che, dal biennio rosso, alla guerra di resistenza eccetera, la classe ha sempre accettato maggioritariamente, le direttive impartite. Le ragioni possono essere molte, ma una secondo me è importante, e ci porta a collegare questi periodi a quello attuale.

Nella teoria marxista, viene dato giustamente grande peso al ruolo svolto dalla divisione del lavoro, alla contraddizione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Questa è una chiave di volta che non si può sottovalutare, perché non basta l’espropriazione dei mezzi di produzione alla borghesia per avere una società socialista, se nel frattempo le forze produttive rimangono invariate e con loro, di conseguenza, i rapporti di produzione. La storia del movimento di classe fin qui ha visto principalmente esponenti provenienti da classi medio alte nel ruolo intellettuale, mentre la grande massa operaia e proletaria ha continuato a fare appunto massa, carne da cannone per dirla in termini crudi. La scolarizzazione di massa indotta dalle esigenze di sviluppo capitalistico, fra gli anni ’60 e ’70, unita alla grande spinta messa in campo dalla classe operaia, aveva portato come grande regalo, lo sviluppo di una cosiddetta ‘cultura proletaria’, ovvero un patrimonio di studio, analisi e sedimentazione di contenuti che andavano a contrapporsi e a smentire la cultura ufficiale imposta dalla borghesia. Questo era uno strumento potente perché, dando possibilità e capacità alla classe di comprendere i rapporti di forza fra le classi, e quindi di immaginare strumenti per il loro superamento, allo stesso tempo, unitamente alla condizione di contiguità oggettiva determinata dal lavoro, dalla vita di tutti i giorni, rendeva forte il legame di solidarietà fra proletari, dando loro coscienza di esserlo. È su questo che si è scatenata, oltre che sull’assetto economico produttivo, la ristrutturazione durata per tutti gli anni ’80 e parte dei ’90. Riduzione dei livelli di scolarizzazione (e con questo non intendo necessariamente il numero di anni di scuola, ma la qualità stessa dell’istruzione, l’innalzata selezione, la differenziazione fra studenti ancor prima che fra lavoratori), diffusione massiccia di quintalate di sottocultura prevalentemente televisiva ma non solo, che sono arrivati addirittura a stravolgere la stessa visione di sé degli individui (appaio quindi sono, se non appaio non sono), il concetto che solo affermandosi sugli altri si può uscire dalla merda, e per farlo l’unica chiave sono i soldi.

So che questo tipo di analisi può sembrare semplicistico, o sociologico, ma il fatto è che se sposti l’attenzione di un operaio (che già ha i suoi problemi e fa la sua bella fatica ad occuparsi di districare la matassa contorta della realtà come gliela pongono davanti) dal capire ad esempio che lo stanno ingannando dicendogli che la crisi è finanziaria ed è dovuta alle cattive speculazioni di pochi, mentre il problema sta nel sistema economico produttivo in generale, al pensare che le cose da desiderare nella vita sono tutti i nuovi modelli di hi-tech, o la velina dalle forme progettate a tavolino magari negli studi Mediaset (interessante leggersi ‘Da Marx a Matrix’, di Gianstefano e Angelo Frigerio, prefazione guarda caso di Fedele Confalonieri), chiudendolo in casa fra lettori dvd, pay-tv e ogni sorta di diavoleria a consumo sempre più individuale, oltre a levarti dalla strada un potenziale rompicoglioni, hai creato una massa di quasi decerebrati, perlomeno sul piano politico e sociale.

Il fatto è che i proletari continuano, chi può, a lavorare, ed in questo ambito a venire a contatto con altri proletari, tutti con gli stessi loro interessi materiali. E qui di nuovo tornano in campo i concertativi vari, che spezzettano settori, poi categorie, poi aziende, reparti, infine individui. Ciascuno appare avere interessi che nulla hanno a che fare con quelli degli altri. E qui entra in gioco quella che secondo me è la carenza più grande in questo momento: la capacità di analizzare, che deriva dall’incapacità/disabitudine di studiare. Leggendo l’enorme massa di volantini, comunicati, proclami… prodotti dal ‘movimento’, non può non saltare agli occhi come la maggioranza di essi siano frutto di uno scadenzismo, di una reazione ‘de panza’ o dietro parole d’ordine girate col passaparola, e non lascino trasparire un serio sforzo di studio e analisi della realtà. Facile allora cadere in trappole vere e proprie come i movimenti ‘indignati’, Occupy, no al debito e via dicendo. Se non si arriva a capire che il problema è il modo di produzione capitalistico, e non la ripartizione dei redditi, o lo spostamento di investimenti, non si va da nessuna parte.

I proletari, per intubamento mediatico, sanno ‘tutto’ sul bosone, sulla vita dei panda, su quella (molto meno interessante) di calciatori attori e veline, ma non hanno idea, se non direttamente sottoposti, di cosa significhino le sigle TMC2, WCM, OCRA, ERGO-UAS, tutti sistemi scientifici elaborati al massimo delle conoscenze attuali, per, citando Matrix, questa volta il film, trasformare un uomo in questo (una pila).

Invece bisogna tornare a sviluppare forme e strumenti storicamente collaudati dalla classe operaia, studio, dibattito, discussione, analisi, non a caso in molte situazioni in cui si sviluppa una rivolta popolare ancorché spontanea,si ricorre alle ‘vecchie’ ma utili forme, come le assemblee popolari ad esempio. Certo che questo non basta, ma è importante, anche perché sono momenti in cui la situazione dell’uno entra in contatto e raffronto con quella di un altro, e far saltare le differenze non è poi così difficile, se si può verificare che i problemi alla fine sono gli stessi, che la causa dei problemi è la stessa, per l’operaio FIAT come per l’abitante valsusino, per l’immigrato recluso solo perché tale come per il precario a vita.

Se c’è una cosa che i comunisti hanno abbastanza presente, salvo poco credibili eccezioni, è il ritardo con cui ci poniamo di fronte alle esigenze del momento. Niente di personale con anarchici, libertari e altri socialisti utopici vari, ma se una cosa insegna la pratica della lotta di classe, è che col riot puro e semplice non si va da nessuna parte, mentre una classe operaia organizzata è in grado di trasformare un paese contadino in un paese altamente sviluppato. Tutto sta poi nel capire a favore di chi va lo sviluppo…

(continua…)

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