Guerre e schiave del sesso

“TRASFORMARE LA TRAGEDIA IN LOTTA”
Posted on August 22, 2014 [http://www.nicolettapoidimani.it/?p=752#more-752]
Riporto alcune importanti riflessioni di Nazanín Armanian – giornalista iraniana, rifugiata a
Barcellona – sugli stupri di guerra.
Ne approfitto per segnalare, dal punto di vista postvittimista, come alcune donne yazidi stiano
“trasformando la tragedia in lotta”, unendosi alle guerrigliere kurde, talvolta sollecitate anche dalle
madri. Ne potete leggere le testimonianze qui e qui.
MARINES, JAHADISTI E STUPRI DI GUERRA
di Nazanín Armanian
Il dispiego militare Usa in Medio Oriente ha aumentato la richiesta di schiave sessuali e il commercio
di donne nella regione. Mentre l’Isis inaugura la guerra santa del sesso. Le donne irachene, siano esse
musulmane, cristiane, ebree o atee, non avevamo mai sentito il termine Yihad Al-Nikah, “Guerra Santa
del sesso”. È l’ “appello” dello Stato islamico dell’Iraq e de Levante (Isis) alle donne non sposate delle
città conquiste ad offrirsi “volontariamente” ai ribelli per trasformarsi in schiave sessuali attraverso
matrimoni a tempo determinato in cambio di generi di prima necessità. Un eufemismo per non dire
prostituzione, proibita dall’Islam.
Adducendo che stanno rischiando la vita per far avanzare lo Stato islamico, i soldati dell’Isis
pretendono dagli uomini musulmani che hanno più di una moglie di consegnargliene qualcuna, come
forma di ricompensa, altrimenti saranno duramente puniti. È l’Onu a denunciarlo dopo il suicido di
quattro giovani donne aggredite sessualmente con questi falsi e forzosi matrimoni.
La vita del popolo iracheno, soprattutto delle donne, si sta deteriorando giorno dopo giorno: tre decenni
di guerre, passando per una dittatura semilaica (sto ancora cercando sette validi motivi per cui gli Usa
hanno abbattuto Saddam Hussein) a una teocrazia settaria e totalitaria installata dagli Usa che ha messo
su una apartheid di genere contro le donne, collocandole allo stesso livello dei minori e dei minorati
psichici, come persone bisognose a vita di un tutor maschile. E se non bastasse è stata anche legalizzata
la pedofilia, abbassando l’età minima per il matrimonio da 18 a 9 anni. Bambine spose per forza.
E non è l’unico incubo che devono affrontare, c’è pure l’invasione di bande armate spietate composte
da migliaia di mercenari afghani, iracheni, ceceni, siriani, libici e europei che diffondono il terrore, e le
donne sono le prime vittime. Una donna a Mosul è stata flagellata solo perché invece che il velo Niqab
(che lascia scoperti solo gli occhi) portava un semplice scialle. Le minacce di punizioni medievali alle
disobbedienti, lapidazione e crocifissione comprese, hanno creato un clima di terrore in una
popolazione femminile dove sanguinano ancora le ferite, se non fisiche psicologiche, per le violenze
dei militari Usa.
La punta di un iceberg .
Vi ricordate il film Redacted di Brian De Palma del 2007? Raccontava una storia vera di un massacro,
uno dei tanti, di cui furono protagonisti soldati nordamericani. “Mentre stavamo giocando a carte e
bevendo whisky ci venne l’idea di entrare in una casa irachena, violentare una donna e uccidere l’intera
famiglia”, confessò uno dei tre marines dell’esercito Usa che prima rinchiusero la coppia e la figlia di 6
anni in una stanza della casa, stuprarono più volte a turno la figlia più grande di 14 anni, Abir Kasim
Hamza, poi uccisero davanti a lei genitori e sorellina e tornarono ancora a violentarla prima di spararle
un colpo alla testa. Non soddisfatti cosparsero il corpo di Abir di benzina, le diedero fuoco e con lei
prese fuoco tutta la casa e i corpi dei suoi. A massacro ultimato i soldati andarono a mangiare pollo
arrosto. Avevano tra i 19 e i 23 anni e come racconta nel suo film/documentario De Palma, i superiori
redassero (da qui il titolo Redacted) una informativa falsa sul massacro. La verità venne comunque alla
luce e ciò nonostante Barack Obaba ha chiesto e ottenuto l’immunità per quei soldati. Deve pur
difendere i suoi effettivi dislocati in ogni parte del mondo. E questa è solo la punta di un iceberg, quel
poco che si viene a sapere e si può provare.
La doppia direzione del contrabbando di donne
Le company private di contractors vincolate al Pentagono (un nome per tutte, la Blackwater USA, ndt),
che trafficano con mano d’opera maschile a basso costo per le basi militari in Iraq, utilizzano i propri
canali per fare contrabbando di donne – importazione ed esportazione, come una merce. Reclutano
donne cinesi, russe, etiopi, filippine, sudcoreane e tailandesi non musulmane dato che, al contrario che
in Vietnam, in Iraq non si possono trasformare in schiave del sesso le musulmane in forma pubblica e
di massa. Una volta reclutate le donne vengono inviate alle truppe Usa in Iraq, mentre le donne
irachene vengono inviate ai militari in servizio nei paesi arabi del Golfo Persico. A Dubai sono
reclutate centinaia di adolescenti vergini, irachene e afghane, per evitare il contagio di malattie,
giovanissime donne destinate a subire orrendi abusi sessuali, fino alla morte. Il dispiego militare Usa
in Medio Oriente ha aumentato la richiesta di schiave sessuali e il commercio di donne nella regione.
Le donne “importate” da altri paesi, come avviene anche in occidente, vengono ingannate da offerte di
lavoro (cuoca, centralinista, donne delle pulizie). Ma il sogno diventa incubo appena arrivate in Iraq.
Non potranno più andare da nessuna parte e nessuno avrà cura di loro. Se è vero che il 30% delle stesse
donne militari Usa subiscono stupri durante il servizio e il 90% molestie sessuali, si può immaginare la
vulnerabilità di una lavoratrice filippina. Le immagini pubblicate delle atrocità nella prigione di Abu
Ghraib – tra cui le foto di stupri di gruppi a donne irachene, mostrano la coincidenza tra il profilo dei
violentatori, coloro che si occupano della tratta di donne e l’industria del sesso. […].
La guerra senza stupri è possibile?
Se domandiamo che tipo di ideologia spinga un uomo a violentare e uccidere una donna nel corso di un
conflitto armato, solitamente le argomentazioni sono:
– che la donna è un bottino di guerra come gli altri beni materiali, abusi e aggressioni sono incentivi per
i combattenti;
– che mettendo incinta la donna si distrugge l’identità della comunità nemica; – che violentarle abbatte
psicologicamente gli uomini nemici che resistono;
– che la guerra in sé è violare un altro territorio; violentare le donne sconfitte fa parte del rituale dei
festeggiamenti della conquista. Anche se se ne parla meno, nel rituale rientra anche lo stupro sugli
uomini;
– che è un “effetto collaterale” della guerra, un atto fisico naturale di un individuo privo di controllo
contro una donna “che stava lì”.
Eppure la storia ci insegna che non è sempre così. Nella forma di combattere di eserciti come quelli del
Tigri per la liberazione del Tamil, il Fronte Farabundo Martì o il Pkk kurdo non è mai entrato lo
strumento della violenza sessuale contro le donne nemiche. Ciò indica fino a che punto questo tipo di
violenza sia una questione ideologica. Dette formazioni, ma ce ne sono altre, nei loro programmi
politici annunciano il desiderio di fondare una società basata sulla giustizia sociale, l’uguaglianza e il
mutuo rispetto. Mostrando che è possibile – anche se al pacifista puro potrebbe suonar strano –
uccidersi l’un l’altro mantenendo la dignità della vittima.
Da una società come quella irachena, dove la donna stuprata è colpevole e non esiste il concetto di
“violenza all’interno del matrimonio”, anzi da lei si esige la disponibilità sessuale assoluta per il marito,
che cosa si ci si può aspettare? Il trauma emotivo, le gravi lesioni fisiche, essere messa all’indice da una
società ipocrita, gravidanze non desiderate, malattie, suicidi, morte per mano dei familiari che
avrebbero dovuto proteggerle e migliaia di neonati abbandonati sono il risultato di questo vile atto
contro la donna.
Lo stupro nelle guerre non è solo un atto privato di violenza, ma un atto di tortura di cui è responsabile
lo Stato a cui si appartiene e che fanno sì che le guerre diventino un grande affare per i mercanti di
carne umana.
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Chi volesse capire meglio la situazione in Kurdistan, può leggere Kurdistan, nell’occhio del ciclone, di
Daniele Pepino.

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